Trovare la diagnosi giusta è certamente il primo passo per affrontare qualsiasi problema, in particolare quelli che persistono a lungo nel tempo. Però, una volta raggiunto il sollievo per la fine dell’incertezza e dell’incomprensione, bisogna anche cercare di trovare la strada per ridurre le conseguenze del disturbo sulle attività quotidiane.

Come abbiamo già detto in altri articoli, l’idea ingenua della maggior parte di noi è che i problemi, una volta individuati, siano tutti risolvibili con misure chiare, ben definite e in tempi rapidi. Abbiamo però visto che per le problematiche congenite, cioè presenti dalla nascita, questo non è sempre possibile, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, il problema DSA si trascina almeno per tutto il periodo della scolarità obbligatoria. Fare una buona diagnosi coincide anche con il dimensionare le aspettative alla natura del problema.

E’ certamente giusto cercare la terapia più efficace ma bisogna anche prevedere un lavoro quotidiano da svolgere a casa e questo rimane lo scoglio più duro da affrontare. La scuola infatti chiede al bambino DSA di svolgere i suoi compiti, e questo costituisce sempre il vero calvario per il bambino e per la famiglia. La lentezza che di solito contraddistingue i soggetti in questione e la tendenza a compiere errori porta ad allungare i tempi in modo enorme, con sforzi difficilmente immaginabili per chi non ha mai sperimentato problemi di apprendimento.

La difficoltà a mantenere la calma durante l’aiuto nei compiti è uno dei fattori che rendono presto insopportabile l’attività scolastica svolta a casa. La confidenza del bambino con il genitore fa sì che egli cerchi in tutto i modi di sottrarsi all’attività determinando una braccio di ferro penoso e frustrante fra il genitore, che vuole aiutare il bambino, e quest’ultimo che cerca di evitarli. Al genitore sembra di dover ricominciare ogni giorno da capo e soprattutto non vede mai un cambiamento di atteggiamento da parte del bambino. L’esasperazione prende spesso il sopravvento e, per quanto il genitore si riprometta di mantenere la calma, con il passare del tempo la pazienza si riduce sempre di più e le urla e i rimproveri diventano l’unico tratto della comunicazione. In breve, fare in compiti, diviene un incubo non solo per il bambino ma anche per il genitore che se ne occupa, in una sorta di circolo vizioso che sembra non avere fine…….

Che fare allora?

La prima cosa che tutto questo ci porta a dire è quella di affidare il lavoro scolastico a casa ad una persona diversa dal genitore. In questo modo si ottengono due risultati: si affida il bambino ad una persona di esperienza e si preservano i rapporti affettivi con il figlio. I genitori che non devono logorarsi nei contrasti per fare i compiti e possono dedicare tutte le loro risorse affettive per capire, incoraggiare, supportare il figlio e svolgere con lui attività gradevoli che compensino gli sforzi che deve compiere a scuola. Che lo facciano sentire adeguato e accettato dai genitori.

La persona che si occupa di rieducazione o di assistenza scolastica, d’ora in poi Tutor dell’Apprendimento, può meglio tollerare le difficoltà che il bambino esprime proprio perché non coinvolta in un rapporto affettivo che vada oltre la sua attività di supporto. Oltre ad essere una persona con una esperienza specifica in questo campo, può esercitare la sua pazienza visto che è a termine, dura un tempo prestabilito e non coinvolge altri momenti della giornata o altri aspetti della vita del bambino. Il fatto che il bambino non sia suo figlio elimina tutte le implicazioni di tipo etico-valutativo che invece assalgono inevitabilmente il genitore.

Il Tutor, quando lavora con il bambino, ha un obiettivo chiaro, preciso e definito. Può avere giuste preoccupazioni e tensioni per ottenere dei miglioramenti ma non ha le inquietudini che affliggono il genitore sulle cause del problema di apprendimento, sulla necessità di ridefinire l’immagine del proprio figlio, sulla qualità dei rapporti con gli altri bambini, sul suo ruolo sociale, sul suo futuro.

A volte un genitore esita ad affidarsi alla figura del Tutor perché ritiene che fare i compiti con il proprio figlio sia un modo per prendersi cura di lui, per stargli vicino, per fargli sentire che qualcuno lo capisce, per non delegare ad altri un’attività che è fonte di sofferenze e frustrazioni, ma nella maggior parte dei casi il ricorso ad una persona estranea è la scelta giusta, la migliore proprio nell’interesse del bambino e di tutta la famiglia.

Affidarsi ad un Tutor dell’Apprendimento per avere sostengo nell’attività scolastica a casa non risolve certo tutti i problemi, ma aiuta il genitore a distribuirli e condividerne il carico. La strada per il recupero di una DSA è molto lunga e c’é bisogno di dosare le forze per non cedere nel bel mezzo del percorso e per avere le risorse disponibili per i momenti di crisi del figlio.

Farsi aiutare dagli altri non significa venire meno ai propri doveri, ma anzi a volte è un modo per riconoscere i propri limiti e per creare le condizioni per superarli nel migliore dei modi.