La lettura è un’abilità ormai indispensabile. Chi non la possiede incontra difficoltà di inserimento sociale e lavorativo. Per questo la Dislessia, come gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento o DSA, ha suscitato un interesse così vasto in questi ultimi anni. Cinquant’anni fa il non saper leggere non costituiva un ostacolo alla realizzazione sociale o economica di una società scarsamente alfabetizzata. Oggi, nell’era del computer, non c’é più posto per gli analfabeti. Qualunque lavoro è mediato dalla letto-scrittura e richiede capacità di seguire le istruzioni inviate per iscritto (fax, e-mail, ecc.). Nella nostra società si legge sicuramente di meno, ma è indispensabile saper leggere.

La difficoltà di lettura è un problema potenziale quindi. Un problema per i bambini che devono apprendere e dei loro genitori che sanno che il loro futuro dipende in gran parte dalla formazione scolastica. Degli insegnanti, che si ritrovano scolari intelligenti che non apprendono, e anche dei medici, soprattutto quelli di famiglia, che vengono sollecitati da genitori e insegnanti, ma che in genere non sanno dare risposte, né per indirizzare la diagnosi, né per cercare rimedi.

Sapere che nostra figlia Marta è dislessica non è stata una buona notizia; ci hanno spiegato che questi problemi non se ne vanno facilmente, ma piuttosto accompagnano il bambino per tutto il periodo della scolarizzazione. Però abbiamo almeno capito che non è colpa di Marta e che non è giusto pretendere ciò che lei non può fare. Non ho capito bene come andrà a finire, ma se non altro adesso so qual é il problema e non sono più tormentato da un fantasma indefinito soprattutto dal dubbio che mia figlia sia strana, unica, che nessuno riesce a capire cos’ha e nessuno sa come aiutarla. Ciò che mi dispiace molto è non esserci arrivato prima….

La testimonianza di questo genitore sembra il modo migliore per introdurre l’argomento.

Il genitore, di solito, si trova totalmente impreparato di fronte alle difficoltà inattese del figlio. Come fa a riconoscerle? Come fa a capire che non si tratta di un rifiuto ad apprendere, di mancanza di volontà o motivazione, ma che piuttosto si tratta di un problema che nasce da una difficoltà specifica? Come fa ad immaginare l’esistenza di una difficoltà specifica che rende difficile l’apprendimento di corrispondenza tra lettere e suoni ad esempio?

All’inizio è logico accettare la spiegazione più semplice, quella del rifiuto di crescere manifestato attraverso il disturbo della lettura o della scrittura. Poi, svolgendo le attività quotidiane con il bambino, di solito ci si rende conto che non è una semplice questione di volontà, ma c’é qualcosa che non funziona. Si tratta di un percorso a volte lungo, perché all’inizio il genitore non è in grado di concepire ipotesi diverse da quelle che riguardano l’impegno e la motivazione…..ma intanto bisogna affrontare il “problema” dei compiti. Diventa questo un vero e proprio banco di prova per i genitori. Il genitore perde la pazienza perché non capisce come mai il bambino non apprende ciò che gli viene proposto con tanta insistenza, il bambino piange, frustrato, perché non si sente compreso nemmeno dalla famiglia. La situazione a casa tende a riprodurre la situazione di frustrazione scolastica. L’umore della relazione familiare tende a pervadere tutti gli altri momenti della giornata e a coinvolgere tutti i membri della famiglia.

Questo porta un bambino DSA, almeno in questa delicata fase iniziale, a non sentirsi riconosciuto come tale, non ha un ambito in cui sentirsi compreso, non trova una persona che abbia con lui relazioni svincolate dalla scuola e dal ruolo sociale che questa gli attribuisce, un ambiente in cui sentirsi difeso o possa assumere un ruolo positivo.

Se l’ipotesi principale del genitore è quella della mancanza di impegno, al bambino viene rimandato un giudizio di tipo etico-morale che lo coinvolge come persona e implica il suo atteggiamento verso la crescita come colui che “non vuole imparare, non vuole crescere, fa sempre arrabbiare”. In questa fase, in pratica, il genitore trasmette al suo bambino un giudizio di insoddisfazione delle aspettative della famiglia, di perdita di fiducia e di stima, non gli riconosce più tutte le qualità che magari fino a poco tempo prima erano un ritornello consueto e rassicurante.

Il genitore che cerca di far fare i compiti al suo bambino diventa una sorta di torturatore inflessibile che prova tutte le strategie, dalla moina alla minaccia, contraddicendosi spesso e confondendo il bambino che oscilla tra il desiderio di compiacere il genitore e l’impulso di sottrarsi all’attività indesiderata.